Il Trust, uno strumento efficace per gestire il passaggio generazionale

Maggio 12, 2021
Alessandra Cocchi

Pubblicato in NT+ Diritto - Sole 24 Ore il 12 Maggio 2021

Evitare liti tra gli eredi, mantenere l’operatività delle aziende durante e dopo il passaggio generazionale, gestire senza conflitti il subentro nelle posizioni apicali: ma come fare quando i beni sono difficilmente divisibili? Quando la comunione ereditaria appare inevitabile? Quando non ci si vuole spogliare subito della proprietà?

Gli strumenti classici, quali il testamento, la holding, la società semplice, non sempre si rivelano soluzioni efficaci. In tutti questi casi il trust può permettere di ottenere risultati decisamente migliori. Esso consente infatti al disponente di disciplinare in modo vincolante l’ineluttabile comunione ereditaria, evitando così conflitti che paralizzerebbero la gestione di patrimoni complessi come ad esempio aziende o beni produttivi.

Il punto è, inoltre, di particolare interesse con riferimento all’attuale normativa tributaria italiana che prevede l’esenzione fiscale per il passaggio ai discendenti della partecipazione di controllo di una società. Ciò a condizione che ne sia mantenuta la proprietà per almeno cinque anni. Ma se i discendenti sono pi  di uno, la comunione diviene inevitabile per mantenere il controllo della maggioranza, con tutti i rischi che ne conseguirebbero.

Ecco che il trust può essere lo strumento per disciplinare il passaggio senza comunione, evitando così ripercussioni sulla società e sulla sua governance. Abbinato ad esempio a una holding di famiglia, può  permettere un assetto del passaggio generazionale efficiente, spesso anche dal punto di vista fiscale, e controllato, senza cambi di management pur in presenza di più coeredi e di beni produttivi non facilmente divisibili.

Più in generale il trust permette di graduare nel tempo la successione, anticipandone alcuni effetti: dal trust che si attiva subito e mantiene i disponenti, al trust “dormiente” con sole nude proprietà, fino al trust con funzione “assicurativa”, che sperabilmente non si attiverà mai.

Una varietà di effetti nel tempo che il testamento, la donazione e la costituzione di usufrutti non possono garantire.

Il trust permette di stabilire in modo vincolante la governance della successione, non solo indicandone le attribuzioni patrimoniali ma rendendo inderogabili le volontà del disponente-testatore in ordine alla gestione dei beni ereditari e alle finalità che dovranno essere perseguite, ben oltre dunque il classico “a chi spetta cosa” che si può ottenere con il testamento. Ciò sia nel lungo periodo, quale assetto permanente dei beni ereditari, sia nel breve, per gestire il passaggio agli eredi, come una sorta di esecutore testamentario “evoluto”. Si pensi a casi in cui il testatore voglia rimanere nella piena proprietà e disponibilità di suoi beni produttivi, che andranno riorganizzati ed assegnati agli eredi solo dopo la sua morte. Strutturalmente la figura dell’esecutore non è adeguata, a cominciare dai limiti temporali del suo ufficio.

La governance di lungo periodo dei beni ereditari, che passa dalla proprietà funzionale del trustee, è utile anche nei casi di beneficiari – eredi fragili che, per vari motivi, rischierebbero di perdere gli asset acquisiti, compromettendone irrimediabilmente il mantenimento futuro. Fino alla tutela delle vere e proprie disabilità, come previsto dalla Legge “Dopo di Noi” del 2016, la quale incentiva l’utilizzo del trust ad opera delle famiglie di portatori di handicap.

Si può ben concludere allora che la pianificazione successoria debba passare necessariamente dall’analisi dei diversi strumenti che la prassi utilizza: dagli istituti “classici”, più noti e facilmente applicabili, a quelli più complessi ed evoluti, che richiedono livelli di conoscenze e di specializzazione meno comuni. Non c’è mai dunque una soluzione adatta per tutti. Si tratta più correttamente di costruire un “vestito su misura” che permetta di ottenere risultati efficaci, limitando il rischio di conflitti.

 

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